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The Stand – L’ombra dello scorpione

Il leggendario masterpiece di Stephen King (1975, riedito in esteso nel 1990) rivisto e… corretto.

L’autore: “Ispirazione? Per almeno 10 anni ho voluto scrivere un Fantasy alla Signore degli Anelli, però con un’ambientazione americana. Non capivo come farlo… E poi mi feci prendere da The Stand e i suoi USA decimati da una pestilenza. Solo che il mio eroe non era uno Hobbit ma un texano; invece dell’Oscuro Signore avevo un vagabondo spiantato, pazzoide e sovrannaturale; al posto di Mordor (dove l’Ombra cupa scende, secondo Tolkien) c’era Las Vegas”.

1. Lettura con spoiler
L’avevo sullo scaffale da anni, continuamente esaltato come il capolavoro di Stephen King, il “Lord of the Rings dell’Horror” anche per le sue infinite 1.500 pagine scritte fitte.
Lo affronto e non mi impantano, tutt’altro, nonostante la mole e la vastità del racconto. Leggo della caduta di Harold, così simile alla caduta di Gollum: il rifugio autodistruttivo in se stessi per vigliaccheria, delusione e disperazione. Onanismo devastante e rabbioso. Passo così dall’iniziale cronaca dell’apocalisse più definitiva immaginabile, alla (sperata) versione fantascientifica del capolavoro tolkieniano, con paralleli numerosi ed entusiasmanti. King mi si conferma come l’esploratore dell’inconscio e del lato oscuro umano, soprattutto maschile, più spietato, abile e coraggioso. Le cose cambiano: dopo la catastrofe ci si organizza a tentoni nell’emergenza e urgenza della Missione – la Guerra apocalittica mistico/mitica in arrivo. E i personaggi nascono, crescono, si fanno adulti e indimenticabili.
Lo strappo finale mi lascia sempre più freddino: Randall/Sauron deludente; una sezione un po’ troppo X-Men 3 (falce spietata per personaggi troppo belli da esser così azzerati); il flash atomico bello e simbolico ma scontato, anticipato. Però, amato Stephen: come se non fosse bastato il macello precedente, aver tolto di mezzo d’un botto Larry, Trash, Randy, Ralph e tutta Las Vegas con popolazione annessa… che spreco esagerato, fuori luogo. Narrativamente sbagliato: Tolkien col cippo che eliminava mezza Terra di Mezzo e 5/6 dei suoi personaggi in un colpo solo. Il tutto che diventa scopertamente teo-con. Apocalisse divina punitiva, tutti morti e amen. Sbrigativo e inelegante.
Critico con forza il senso narrativo del tutto (il perché ignoto dei troppi sacrifici) – il senso simbolico (biblico) lo capisco, anche se non è nelle mie corde. Infine, giudico: *** e 1/2 su 5 stelle.

2. Volumone diviso in tre grandi Libri
Più di mille pagine a volte ipnotiche a volte faticose. Drammaturgicamente penetrante ma filosoficamente modesto. Funziona, ma con discontinuità ed è poco risolto in un finale sospirato ma insufficiente. Numerose le vette espressive.
Primo Libro (fino a metà volume) straordinario e geniale: descrizione realistica dell’apocalisse universale della civiltà, gestita con la contemporanea costruzione minimalista dei magnifici superstiti. La morte è sentita come realmente tragica e la sopravvivenza casuale allo sterminio è inquietante. La chiave della bellezza è nel rigoroso impianto fantascientifico/fanta-sociale appena appena contagiato da screziature fanta-paranormali misteriose e profetiche.
Secondo Libro (da metà fino a 4/5 di volume) rimane interessante e profondo nella parte “realistica”: la faticosa riorganizzazione sociale dopo la catastrofe, problemi e vantaggi. Sempre più pesante, invece, la svolta fanta-misticheggiante che, mano a mano, assume centralità. Le metafore teologiche telefonate si sostituiscono, soppiantano e annullano i precedenti simbolismi sociali, più sottili e curati. Molti dei bellissimi personaggi della prima parte sono fatti evolvere, ma qualcuno perde sempre più fascino.
Terzo e ultimo Libro deludente. Un secondo, ridondante (era giustamente stato già scatenato all’inizio) grande bagno di sangue sacrificale e “divino” più che spietato, esagerato. Quasi tutte le figure create con tanta fatica vengono tolte di mezzo al volo. E la parte antagonista è trattata sbrigativamente, senza l’adeguato approfondimento.
Finale emozionante e giusto, in sottrazione.

3. Dio lo vuole!
All’inizio è la rappresentazione scenografica della catastrofe contemporanea. Meravigliosa. In seguito colpevolmente sempre meno sfruttata, in un racconto basato sui tantissimi personaggi… fatti vivere alla perfezione ma che o invecchiano precocemente o vengono fatti morire (al 90%) senza un apparente senso narrativo compiuto. Senza controllo.
Perché la rovina di personaggi maturi messi alla prova ma che diventano fastidiosi e insofferenti (esempi: Frannie, Randall Flagg, Mother Abagail)? Perché la dimenticanza di interessanti comprimari (Joe/Leo, le donne violentate, Ralph)? Perché la fine inutile e tirata via di straordinari antagonisti (Harold, Nadine, Lloyd)? Perché il sacrificio terminale degli eroi, portati avanti per essere abbandonati nell’insensatezza (Larry, Glen, il Giudice, Susan)? Risposta unica, molto puritana e poco rigorosa: “Dio lo vuole!”.
Tre migliori in campo: il rocker in evoluzione Larry Underwood (primo tra i pari), l’intellettuale sofferente Nick Andros e il Lato Oscuro dell’adolescenza Harold Lauder. Tutti, chi prima chi dopo, chi più chi meno, vengono eliminati dalla storia in modo incomprensibile. Gli unici ottimi personaggi che hanno il loro momento non sacrificato sono il luminoso handicappato Tom e il cupo folle Pattume.
In questo suo terzo romanzo, il giovane Stephen (pur rieditatosi in seguito nell’ambiziosa versione “corretta ed estesa” del libro) si annunciava come un grandissimo scrittore dell’animo, abile costruttore di tragedie epiche e sfrenato analizzatore di personalità. Ma qui costruiva un ciclopico grattacielo romanzesco senza attico, senza terrazzo, senza guglie e senza vista panoramica. Il suo chiarissimo e ammesso modello, l’Unico Anello tolkieniano, è un po’ meno analitico e inquietante, OK, ma molto più elegante, vasto, controllato e compiuto. E, strano a dirsi?, umile.
L’autore crescerà. Eccome se è cresciuto.

Filippo “Jedifil” Rossi
Consigliere dell’ Associazione Yavin 4 Fan Club

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