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Ricordo di Errico Passaro

 Se chiedessi a un po’ di amici che ricordo professionale abbiano di Errico ci scommetto che otterrei risposte diverse. Qualcuno direbbe che era un ottimo scrittore di fantascienza, chi obietterebbe che la dimensione narrativa di Errico era il fantasy, qualcun altro esalterebbe i romanzi spionistici pubblicati su Segretissimo, ma c’è chi ricorderebbe Errico giornalista, Errico recensore di libri, Errico filosofo e ideologo, Errico commentatore politico, Errico amante dello sport, Errico militare di carriera. Non sbaglierebbe nessuno. Errico era (è) tutto questo e, naturalmente, molto altro.
 Allora più che le mille facce della sua scrittura, ci sorreggono (e ci emozionano) i ricordi di lui.
 La prima volta che lo incontrai, qualche decennio fa, eravamo tutti giovani e pieni di speranze. Lui era il più giovane e, anche se non lo dava a vedere, forse quello con più speranze di tutti noi. E qualche certezza che a noi era sconosciuta. Avvenne a una convention Italcon, una di quelle folli kermesse di appassionati di fantastico che si spostava, di anno in anno, da una location all’altra. Mi pare che quella volta si svolgesse a Fanano, un borgo emiliano che invademmo con colori, emozioni, allegria, ma anche con libri, fumetti, convegni, incontri letterari, scontri (anche fisici) di idee e progetti. Errico mi fu presentato da Gianfranco de Turris, che lo aveva già adocchiato per le sue doti letterarie e, credo, per la profondità delle sue idee e del suo pensiero che erano spiccate già allora, alla veneranda età di 19 anni. Mi fece subito una buffa impressione. Serioso, compassato, un mezzo sorriso che non si capiva se ti prendesse in giro o semplicemente non ti considerasse alla sua altezza. E l’informazione, non richiesta, che aveva appena scritto un libro di aforismi. Un libro di aforismi! E io, che a malapena scribacchiavo romanzi horror scopiazzando Stephen King, rimasi sbalordito. E incuriosito. Negli anni a venire, la curiosità si trasformò in una vera amicizia, anche se continuai a prenderlo in giro raccontando di quella sua prima autopresentazione a quel consesso di folli visionari e un po’ ubriachi con questo biglietto da visita: “Mi chiamo Errico Passaro e ho appena scritto un libro di aforismi.” Non me l’ha mai perdonata.
 Naturalmente Errico era ben altro. E, rotto il ghiaccio e scoperto tutto quello che ci accomunava, ci immergemmo nel suo mondo interiore, che non aveva confini e che spaziava dalla fantascienza pura al fantasy eroico al mainstream. Errico era (è) così. Prolifico, abbondante, esagerato, misurato, instancabile, e le sue pagine (tantissime) gli sopravvivono, com’è giusto che sia, in tutte queste dimensioni. E chissà, forse in altre che scopriremo con qualche suo inedito.
 Ma al di là dei meriti letterari e di tutto quello che poi avrebbe prodotto, Errico divenne una delle colonne portanti di quello sparuto ma agguerrito gruppo di scrittori romani che facevano capo al nostro Pigmalione, al primo che ci aveva scoperti e aveva creduto in noi: Gianfranco de Turris (da ora in poi, nel testo, Gdt).
 GdT lavorava in quel periodo alla Rai e aveva gli uffici in Via del Babuino (io lo conobbi molto prima, a Piazza San Silvestro, alla sede dell’Agenzia di Stampa Italia…ma questa è un’altra storia…) là dove io, Errico, Nicola Verde, Roberto Genovesi e Gabriele Marconi, facevamo il solco per aspettare il Maestro e fargli leggere le nostre cose, discutere di progetti, avanzare idee o, semplicemente, per incontrarsi e passare un po’ di tempo insieme.
 Da via del Babuino passammo poi ad altri luoghi che accogliessero le nostre interminabili discussioni, col tempo sempre più spesso ristoranti o trattorie romane, tanto che il gruppo si tramutò ben presto in un cenacolo, ma tant’era. Di amici a quei tavoli ne sono passati tanti altri. Tutti con la solita, solida, profonda, immarcescibile passione (che passione non è ma è un’esigenza di vita): scrivere. E intorno a quelle tavolate sono nate antologie, romanzi, prodotti della nostra passione, alcuni riusciti, altri meno, ma a tutte quelle parole guardiamo e abbiamo guardato con affetto.
 Negli ultimi anni Errico prese a defilarsi. Sempre con grazia ed educazione. Ma con fermezza. Quasi avesse percepito che la vita stava cambiando e che il silenzio avrebbero comunque mantenuto intatto il ricordo di quel manipolo di amici più di quanto avrebbe fatto la semplice presenza di quattro anziani intorno a un tavolo. Non lo so. Davvero. E non so cosa abbia pensato o provato in questi ultimi mesi. E mi fa male sapere che ci ha lasciato lontani da lui, senza che nessuno di noi avesse idea di cosa stava passando. Senza un’ultima parola. Una risata. Una sana litigata (di quelle che soprattutto aveva con Roberto Genovesi a sancire la loro strana amicizia, profonda e piena di contrasti, ma credo sincera).
 Però no, ho detto una cazzata. Non si può dire che Errico non ci abbia parlato anche nell’ultimo periodo della sua vita quando ormai non ci si vedeva e non ci si sentiva quasi più (e giuro che tutti noi abbiamo provato, vanamente, a scalfire quel bozzolo in cui s’era appartato da tempo). Perché ha continuato a scrivere fino all’ultimo respiro. Romanzi epici, romanzi adrenalinici, romanzi con lo stile di Errico Passaro. Basterà quindi leggerlo e rileggerlo per sentire ancora l’eco della sua voce, magari mentre è intento a chiacchierare di editori e libri, di novità e progetti, successi e delusioni, seduto a un tavolo, circondato da amici.

Marco De Franchi

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