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5 ragioni per amare… le utopie della fantascienza

Lo confesso, negli ultimi due anni ho letto pochi libri, ma da molto più tempo leggo pochissima fantascienza italiana. La ragione è che la maggior parte della fantascienza italiana è distopica: mondi sconquassati, personaggi abbruttiti, trame che non comunicano niente di buono se non una cupa riflessione sugli orrori dell’umanità. “Nessun significato, nessuna speranza e nessuna risposta” come direbbe il signor Spock. Sì, sono una trekker, ed è anche (forse soprattutto) per questo che non amo le distopie e adoro le utopie. E mi permetto con umiltà di farvi partecipi delle ragioni per le quali decisi, molti anni fa, che non avrei più letto o guardato opere distopiche.

1. Viviamo nella peggiore distopia che qualcuno potrebbe immaginare, la realtà. Perché dobbiamo occupare anche la nostra fantasia a celebrare le brutture del mondo, o dei mondi futuri? Non voglio fare della facile demagogia, non sto parlando di terrorismo, banche sanguisughe o politici corrotti, sto parlando del lato oscuro che da sempre accompagna l’umanità, dalle lotte tra le “famiglie” dei primi ominidi alla guerra fredda passando per il medioevo. Personalmente quando prendo un libro in mano o vado al cinema o mi siedo sul divano a vedere la TV voglio uscire dalla realtà.

2. Questa voglia di a-normalità è forse innata in me, ma è stata sviluppata proprio dalla fantascienza letteraria, con i libri che mi regalavano e quelli invece acquistati per scelta. Per questi ultimi avevo (e ho) un metodo semplice di valutazione: leggo la trama sul retro di copertina e se mi ispira emozioni positive, compro e leggo. L’autore che più amo e del quale sono stata (e sono) una fangirl è Isaac Asimov e sono due le cose che disse che mi sono rimaste impresse nella mente: una me la scrisse personalmente e non ha attinenza con quello di cui sto dissertando, l’altra era una semplice descrizione di quel che per lui era fantascienza: personaggi normali in situazioni eccezionali, personaggi eccezionali in situazioni normali.

3. Se si può dibattere sul fatto che anche personaggi distopici e situazioni distopiche si possano adattare alla descrizione di Asimov, è indubbio che ogni distopia si possa, senza grossi sforzi, trasformare in utopia applicando ciò che nelle favole si chiama il lieto fine. L’esempio più eclatante di questo assioma è una storia di cui ho goduto pochi anni fa: l’umanità è forzata a lasciare la Terra su astronavi generazionali dove tutto è automatizzato e, abbandonato il proprio homeworld alle spalle, sterile e inadatto alla vita, si perde tra giochi virtuali, comunicazioni interpersonali inesistenti e ossessione per il cibo spazzatura, vagando per lo spazio con luci artificiali che fan finta di essere il sole. Ma ecco che arriva la speranza, l’evento speciale che trasforma la distopia in utopia: un automa sviluppa la consapevolezza che sono i sentimenti e le piccole cose che contano veramente ed è lui che riesce a risvegliare le emozioni positive negli umani di questo futuro, riportandoli sulla Terra dove la vita sta rinascendo. Per chi non l’avesse ancora capito, sto parlando di Wall-E, un film d’animazione di fantascienza.

4. Il film Disney-Pixar riesce a rappresentare, con un’originalità che anche nel cinema si sta un po’ perdendo, quel sense of wonder che la fantascienza utopica rappresenta per me. Un ritratto divertente, spassoso, incantevole e originale di un mondo futuro dove le brutture del genere umano e i madornali errori che commette, se ci sono, sono usati per rappresentare il meglio che l’umanità può offrire: curiosità, amore, senso di sacrificio, lealtà, solidarietà e i risultati benefici che tali virtù possono portare. La fantascienza, come tutta la letteratura e l’arte in genere, ha secondo me il dovere di dare spunti di riflessione su come la realtà distopica dell’oggi possa trasformarsi in utopia del futuro.

5. È tale riflessione che porta alla quinta e ultima ragione per amare le utopie. Ultima in questa lista ma non per questo meno importante, anzi! Riflettendo su futuri possibili e auspicabili (e delle distopie si può dire tutto, ma non che siano auspicabili) si possono creare atteggiamenti che oggi invoglino a raggiungere le utopie di domani. Quante volte abbiamo sentito dire che l’umanità vivrebbe meglio “se tutti usassimo meno detersivi…”, “se tutti spegnessimo le lampade che non ci servono…”, “se tutti andassimo a prendere il giornale in bicicletta…”, “se tutti fossimo onesti con chi ci sta davanti…”, eccetera. Le utopie mostrano cosa succede se questi “se” venissero davvero attuati e possono dunque spingerci a vivere fin da adesso in quel modo utopico. Avvicinare l’utopia futura al nostro presente è ciò che dobbiamo fare per avere la speranza che “non tutto finirà con un bagliore e una bomba”, come diceva Gene Roddenberry, autore dell’utopia più longeva della storia della fantascienza televisiva: Star Trek.

Gabriella Cordone Lisiero

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