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Giornalismo e letteratura secondo Monti-Buzzetti

Adriano1rLa grande voglia di comprensione e interpretazione della società e della sua evoluzione, la vocazione verso gli studi storici, politici e sociali, l’attitudine alla scrittura, fanno di Adriano Monti-Buzzetti, romano, volto noto della televisione di Stato, affermato autore di saggi storici e di narrativa fantastica, una figura versatile di intellettuale.   
Vicecaporedattore della Rai, giornalista parlamentare, ha lavorato per lunghi anni presso i media vaticani e ha collaborato con importanti quotidiani nazionali. Iscritto alla World Science Fiction Italia, il Nostro, scrive su riviste di vario genere tra cui Weird Tales Italia, Candido, Studi Lovecraftiani, Focus Storia, Focus, Dyònisos. Con Gianfranco de Turris dirige la rivista di letteratura fantastica Dimensione Cosmica (Solfanelli). Inoltre, è autore di storie noir, fantasy e di science fiction. Tra le ultime da ricordare La Stanza della Morte (in Sbirri di Regime – Bietti), La Torre Glauca (nell’antologia Eroica – ed. Watson) e Taigete (in FantaFascismi, ed. Bietti di prossima uscita). E’ autore e illustratore del volume Il Bestiario di Lovecraft (Bottero Edizioni – 2011) nel quale mette in piena luce la sua passione sia per quel punto di riferimento della narrativa horror che è stato Howard Phillips Adriano2r Lovecraft, sia per il disegno e la pittura, discipline che da sempre Adriano coltiva con competenza. In tale veste vale la pena evidenziare che ha anche realizzato la bella copertina dell’ampio studio dal titolo Tolkien l’esperantista. Prima dell’arrivo di Bilbo Baggins di Oronzo Cilli, Arden R. Smith e Patrick H. Wynne (Cafagna Editore – 2015), che riguarda i linguaggi inventati da J.R.R Tolkien nel Signore degli Anelli. Avendo avuto la possibilità e il piacere di poter conversare con lui abbiamo spaziato a 360 gradi nelle sue tante attività partendo proprio dal lavoro giornalistico, per poi riflettere anche su tematiche storiche, di attualità e di letteratura fantastica.

Adriano, sei un giornalista con grande esperienza nei quotidiani cartacei e nella televisione e poi sei anche saggista e narratore. Quanto questi ruoli tra loro interagiscono? Verso quale ti senti più vocato?
Tra tutte queste attività credo vi sia una forte interconnessione, legata anche a dei tratti caratteriali. L’innata curiosità per le cose che mi circondano, e ancor più per ciò che al di là di esse si intravede, mi ha spinto verso il mestiere della notizia ed al contempo anche verso la saggistica; tanto per fare un esempio, uno studio sui giornalisti parlamentari del tardo Ottocento, scritto alcuni anni fa ma che solo adesso sto per pubblicare, nasce da un periodo della mia vita professionale in cui vivevo dieci-dodici ore al giorno a Palazzo Madama e potevo sfruttare i tempi morti per consultare le annate dei giornali d’epoca conservate nella ricchissima emeroteca del Senato…ne è nato appunto un saggio ad hoc. Per quanto riguarda il “vizio segreto” del narratore, che ritengo la mia vocazione più genuina e quella che seguirei a tempo pieno se vivessimo nell’Utopia di Tommaso Moro (!), credo anche qui che ci siano delle corrispondenze con il lavoro che mi dà da vivere. Credo infatti che il mio stile come scrittore si rifletta in quello da giornalista: un po’ fiorito, rotondo, molto descrittivo…magari anche un po’ antico e démodé. Ovviamente questo può anche non piacere, ma credo che essere un minimo diverso da chi – con rispetto parlando – scrive bollettini meteorologici. Ovvio che spesso l’informazione richieda sintesi e semplicità anche estreme; in quel caso mi adatto, ma sinceramente ne soffro un po’.

Hai realizzato, con il contributo di vari studiosi, il volume su Lovecraft (Il Bestiario di Lovecraft) nel quale viene sostenuto che la lettura avvicina tra loro i mondi che all’apparenza sono distanti. Qual è a tuo parere il gancio, il collegamento?
Quello che mi chiedi è interessante perché, con riferimento allo stesso autore, mi è capitato di tornare a ragionarci surrettiziamente anche in un saggio scritto lo scorso anno per la rivista Studi Lovecraftiani, intitolato I Lovecraft in guerra e dedicato ad Adriano3r alcuni parenti del ‘Solitario di Providence’ che avevano combattuto nella Guerra di Secessione. Credo sia l’esempio perfetto di quanto mi chiedi: in questo caso la lettura di antichi documenti mi ha permesso di riannodare fili di una memoria avita tra esistenze irrimediabilmente distanti, sul piano temporale e non solo. Ad esempio, è stato singolare scoprire da bollettini di medici militari vecchi di quasi due secoli che altri Lovecraft soffrivano di fragilità nervose molto simili a quelle del membro più celebre della famiglia, al punto da poter quasi tracciare i contorni di una sorta di psicopatologia familiare. Ecco, questa piccola avventura nella genealogia di un autore che amo è iniziata leggendo cose apparentemente noiose ed antiquate, ed è sempre attraverso la lettura che queste informazioni potranno arrivare ad altri studiosi ed appassionati. E’ quella che Stephen King definisce “magia portatile”.

Per anni hai seguito come giornalista l’attività vaticana e oggi scrivi di storia della Chiesa – ma anche di storia in generale – su importanti riviste divulgative come Focus e Focus Storia. In una prospettiva analitica di questo tipo, come credi che potrebbe essere valutato guardando anche in prospettiva l’attuale ruolo della Santa Sede nell’ambito delle trasformazioni sociali e culturali?
Credo che la Chiesa stia vivendo in prima linea, come ha sempre fatto nei suoi momenti migliori, le tante criticità che attraversano il suo tempo. Essa è depositaria di un primato morale e spirituale inarrivabile, assoluto: quando parliamo di “diritti umani” parliamo infatti più precisamente di diritti geneticamente “europei”, nel senso che storicamente sono nati nel Vecchio Continente, mediante l’irripetibile connubio tra messaggio cristiano, pensiero greco e diritto romano; solo in seguito sono assurti a dimensione globale, ma questo a qualcuno non fa comodo ricordarlo. Si tratta invece a tutti gli effetti di un fenomeno unico: altrove, anche nel cuore di civiltà antichissime e raffinate, tali valori erano del tutti assenti e la vita umana individuale contava meno di zero. Ancora oggi nella filigrana della cronaca internazionale possiamo leggere queste distanze ancestrali. Ecco, sulla base di questo suo primato di maestra in umanità, la Chiesa per me ha oggi la difficile missione di rimanere se stessa in un mondo che cambia, di aggiornarsi cogliendo lo spirito del tempo mantenendo però intatto il valore del suo depositum fidei.

Mi rivolgo ancora al giornalista. Cosa sta cambiando nel mondo dell’informazione con l’avvento dei social network? Cosa sta avvenendo nei mass media e in particolare nel mondo dei giornali? E cosa pensi di tutta la querelle sulle fake news?
I social sono un guazzabuglio di cose diverse e contraddittorie. Una straordinaria piazza telematica, un’occasione di confronto e di dialogo a distanza che non ha precedenti nella storia dell’umanità, ma anche una cacofonia di voci in cui l’opinione di persone preparate e competenti si confonde con gli strepiti delle cibernetiche “legioni di imbecilli” deplorate da Umberto Eco: sempliciotti arroganti che in sostanza sanno poco o nulla di qualsiasi cosa, e che invece di leggere e studiare parlano. Di più: discettano con pose da sapienti sugli argomenti più disparati, per giunta usando spesso un italiano improbabile. La chiacchiera da bar, qualunquista e spesso grossolana, diventa virale e globale. Lo stesso dicasi per quelle favole della buona notte che la nostra cronica anglofilia ha ribattezzato fake news: panzane colossali che in mancanza di un rigoroso controllo delle fonti sempre più Adriano4r spesso vengono discusse in Parlamento da esponenti politici come fossero notizie attendibili, costringendo poi i malcapitati commentatori a spericolate ritrattazioni. E’ un approccio al quale purtroppo ultimamente anche i media tradizionali ogni tanto strizzano l’occhio, ad esempio quando su argomenti seri come i vaccini mettono a confronto il primario immunologo con l’attrice… come dire, liquidi non proprio miscibili. Diverso sarebbe se ci fosse un’interazione sistemica tra le fonti d’informazione certificate e le nuove piattaforme di condivisione. Pensando al mio mestiere mi piacerebbe un futuro nel quale ogni servizio di approfondimento o di tg venisse riproposto sui social network: sarebbe un modo per frenare la crisi del giornalismo e per riavvicinare all’informazione “seria” gli under 30, che non leggono i giornali e ormai vedono ben poco anche la tv, almeno quella convenzionale.

Sono anni nei quali sembrano dissolversi i mondi in cui abbiamo vissuto e creduto: le ideologie, la carta stampata, la politica, i territori, la famiglia, la cultura che soccombe al nichilismo e al mercato. Insomma la società sembra non avere punti di riferimento. In tale quadro gli intellettuali – parlo degli scrittori, dei giornalisti, dei sociologi, dei docenti universitari – che ruolo hanno oggi e quale invece dovrebbero avere?
In quella che Zygmunt Bauman chiamava “Società liquida”, dove gli ultimi punti fermi che citavi vengono progressivamente erosi dal culto indeterminato del “qui ed ora”, gli intellettuali dovrebbero riprendere una funzione sociale disertata ormai da tempo: nutrire la speranza nell’uomo e sull’uomo, combattere il culto imperante del “tanto non cambierà mai nulla”, suggerire a chi voglia ascoltarli che c’è sempre un colle da superare, un passo in avanti da fare, una spanna da salire, un cuore e un cervello da far funzionare in modo più consapevole. Sempre più spesso invece l’intellettuale del ventunesimo secolo, flûte di champagne in una mano e tartina nell’altra, è un fatuo animale mondaneggiante a cui ben si attaglia la definizione di uno che tale categoria la conosceva molto bene, il grande Charles Bukowski: “un individuo che dice una cosa semplice in modo difficile”.

Qual è la tua idea di letteratura nel mondo globalizzato e nell’era di internet? E come si sta esprimendo, invece, quello della letteratura fantastica? Puoi citare qualche nome tra i massimi autori di tale genere che ha fatto proprio il grande potenziale della Rete?
E’ un tema troppo un po’ troppo complesso per esaurirlo in una risposta. Semplificando al massimo direi che per la letteratura la Rete è insieme un pericolo e un’occasione. L’incognita è rappresentata dal fatto che il Web semplifica tutto: dalle nozioni culturali a quelle linguistiche, ormai schiacciate su vocabolari di una trentina di parole, e questo non è certamente un bene per i tanti scrittori che ancora vogliano dire la loro usando l’italiano ricco di sfumature della nostra migliore tradizione narrativa e non quello di Whatsapp. La grande opportunità è invece rappresentata dalla possibilità di raggiungere platee più vaste ed eterogenee di quelle legate ai canali di promozione convenzionali dell’editoria. Tutto questo, nel bene e nel male, lo ritroviamo anche nella letteratura fantastica. In negativo col proliferare di sottogeneri a mio parere un po’ pedestri come lo young adult e il paranormal romance, in positivo con l’affermarsi di autori e di progetti che usano Internet come leva, senza farsene troppo condizionare. Gli esempi non mancano, anche tra i grossi calibri: A Calendar of Tales, una fortunata raccolta di racconti Neil Gaiman, è stata creata pagina dopo pagina in base ad una costante osmosi telematica via Twitter tra lo scrittore ed i suoi lettori, che venivano coinvolti nel “cantiere” dell’opera dando consigli e formulando proposte. Anche una colonna del fantasy come l’ormai non giovanissima Ursula K. Le Guin ha abbracciato le nuove potenzialità di Internet creando Book View Café, in sostanza un esperimento di autoproduzione dove gli scrittori vendono i loro e-book digitali direttamente agli abbonati. Senza contare poi i progetti in crowdfounding o le forme di interazione autore/lettore mediante le anticipazioni di alcuni capitoli delle loro opere su Facebook, che stanno prendendo piede anche tra i nostri più giovani e promettenti autori. Direi dunque che se riuscissimo a prendere solo il meglio dello strumento telematico, cioè la capacità di comunicazione ad ampio spettro, salvaguardando però lo stile, la qualità e – perché no? – l’“italianità” della nostra narrativa dell’Immaginario, avremmo un italian fantasy di livello in grado di confrontarsi alla pari e senza troppi timori con i nostri omologhi anglosassoni e d’Oltreoceano. E lo stesso dicasi per la fantascienza, il weird e via enumerando. E’ il mio augurio per tutti noi.

Certamente un argomento complesso quello della Rete e dei suoi effetti sia nella società contemporanea, sia in ambiti più ristretti come quelli letterari. Ringraziamo pertanto Adriano Monti-Buzzetti anche per queste sue considerazioni che ci forniscono un’autorevole interpretazione, accompagnandoci nella comprensione di tematiche che ci riguardano e che senz’altro torneremo ad affrontare nelle prossime interviste.

Filippo Radogna

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